De Luise: disparità di genere gravano su lavoro autonomo femminile, serve l’impegno di tutti
Discriminate due volte. Le imprenditrici e le lavoratrici autonome scontano, oltre agli ostacoli di genere, anche una forte disparità di trattamento rispetto alle lavoratrici dipendenti. Un’iniquità che emerge con particolare forza per quanto riguarda il sostegno alla maternità, per la quale le autonome ricevono poco più della metà (il 54,9%) dei benefici previdenziali concessi alle donne dipendenti, per un totale di oltre 6.100 euro in meno per figlio.
Il calcolo confronta il valore complessivo dei benefici e delle prestazioni previdenziali teoricamente disponibili per la maternità di dipendenti e autonome, prendendo in esame due lavoratrici con un reddito di circa 14mila euro l’anno.
Tab. Sostegno alla maternità, valore complessivo dei benefici e delle prestazioni previdenziali disponibili. Differenza tra lavoratrici autonome e lavoratrici dipendenti
Beneficio o prestazione | Autonome | Dipendenti | Differenza autonome/dipendenti |
Indennità di maternità | € 4.577 | € 4.577 | 0 |
Congedo parentale facoltativo | € 1.178 | € 2.060 | -882 € |
Voucher Baby Sitting | € 1.800 | € 3.600 | -1.800 € |
Interdizione per motivi di salute (1 mese) | € 0 | € 915 | -915 € |
Riposi giornalieri allattamento (9 mesi) | € 0 | € 2.592 | -2.592 € |
Totale | € 7.555 | € 13.744 | -6.189 € |
Fonte: Elaborazione Ufficio Economico Confesercenti
Il sostegno alla maternità, purtroppo, non è l’unico ambito in cui le imprenditrici e le lavoratrici indipendenti soffrono una disparità nei confronti delle colleghe dipendenti. Le autonome, infatti, non possono accedere alla famosa legge 104/92, che permette di beneficiare di 3 giorni al mese di assenza retribuita dal lavoro per la cura dei parenti inabili; e, ancora, nemmeno dei congedi retribuiti fino a due anni per assistenza a persone con handicap grave, come stabilito invece per le dipendenti. Una lunga teoria di svantaggi che sfavorisce pesantemente la possibilità di maternità delle imprenditrici e delle autonome. E se in Italia, complessivamente, lavora il 54,3% delle madri, solo il 15,7% delle imprenditrici e delle professioniste con un figlio ha un impiego. Dati che fanno emergere chiaramente come il problema non sia solo delle autonome, ma di tutto il Paese.
“Ogni anno 22mila imprenditrici, in Italia, si imbarcano nell’avventura di aprire un’attività. Ma le disparità di genere e le iniquità gravano come un’ombra sul lavoro femminile indipendente. Come mostra la nostra indagine, il fenomeno è evidente per la maternità, fronte su cui le imprenditrici sono svantaggiate anche rispetto alle lavoratrici dipendenti”, commenta il Presidente di Confesercenti Patrizia De Luise.
“La questione dell’impresa femminile, però, non si ferma al welfare: tanto è vero che le imprese rosa hanno una vita media inferiore di 19 mesi rispetto a quella complessiva dell’economia. E accanto a gap quantificabili, come appunto i benefici previdenziali o la vita media dell’impresa, ci sono una serie di discriminazioni meno dimostrabili, che però ci vengono puntualmente ricordate dalle associate. Le imprenditrici hanno più difficoltà degli uomini, ad esempio, a prendere un locale in affitto o ad assicurarsi, persino ad ottenere un prestito. Bisogna intervenire: ci aspettiamo che chiunque governi metta l’impresa femminile tra le priorità, equiparando finalmente il welfare tra autonome e dipendenti ma anche investendo maggiori risorse nelle politiche di conciliazione per tutti, a prescindere dal lavoro. Serve, però, l’impegno di tutti. L’8 marzo dovrebbe essere un momento di verifica: come Confesercenti abbiamo deciso di farne la data in cui comunichiamo il bilancio del nostro impegno a favore del lavoro femminile: nel 2017 con il nostro sistema abbiamo stanziato oltre 13 milioni di euro per le lavoratrici dipendenti, in formazione continua, assistenza sanitaria integrativa ed enti bilaterali. Se tutti quantificassero il loro impegno, avremmo un’idea di quanto realmente facciamo per risolvere il problema”.
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