Studio Cer Eures sui ritardi del sistema. Se nostri processi durassero quanto quelli tedeschi, recupereremmo anche 130mila posti di lavoro e mille euro di reddito pro-capite
Lentezze ed inefficienze della giustizia ci costano 2,5 punti Pil, pari a circa 40 miliardi di euro. Tanto infatti recupereremmo se la nostra giustizia civile si allineasse sui tempi di quella tedesca. E gli effetti non si limiterebbero al Pil: una giustizia più rapida creerebbe anche 130mila posti di lavoro in più e circa mille euro all’anno di reddito pro-capite, con effetti positivi anche sull’erogazione di credito e la sicurezza percepita di imprese e famiglie.
È quanto emerge dallo studio Cer-Eures “Giustizia civile, imprese e territori”, presentato oggi a Roma da Confesercenti nel corso del convegno “Giustizia, Sicurezza, Impresa”, che simula gli effetti positivi di cui beneficeremmo se i processi per imprese e cittadini durassero di meno.
“Sicurezza e giustizia sono due variabili che possono condizionare fortemente le nostre imprese”, dichiara il Presidente di Confesercenti Patrizia De Luise. “Una giustizia che non funziona, o che funziona male, ed un ambiente che rende insicuro il nostro operare possono pesare molto di più della crisi economica. Se vogliamo tornare a correre davvero, agganciando una ripresa solida e duratura, dobbiamo rimuovere i difetti strutturali della nostra economia. E le inefficienze ed i ritardi della giustizia sono tra questi, anche perché rendono il sistema giustizia sempre più oneroso: ogni anno le imprese italiane spendono 3 miliardi di euro di costi legali ed amministrativi solo per i contenziosi lavorativi, un vero e proprio salasso per la nostra economia e per le nostre tasche”.
I risultati dello studio. Nonostante i progressi segnati negli ultimi anni, l’efficienza della nostra giustizia civile appare ancora lontana dagli standard degli altri Paesi europei. In media, in Italia, i tempi per arrivare ad una sentenza nelle procedure civili raggiungono i 991 giorni: più del doppio delle medie registrate in Spagna (510 giorni), Germania (429 giorni) e Francia (395 giorni). Il grado di efficienza della giustizia civile presenta inoltre profonde differenze sul territorio nazionale. A livello regionale, la differenza fra Amministrazione più efficiente e meno efficiente si avvicina a 1.300 giorni, mentre a livello provinciale, tale differenza sfiora i 6.000 giorni. La lentezza della giustizia sembra dunque accompagnare il divario di sviluppo che continua a caratterizzare l’economia italiana.
La lentezza della giustizia amministrativa è uno dei fattori che maggiormente penalizza la competitività dell’economia italiana. Meno efficiente è la giustizia, più è difficile l’accesso al credito, peggiore è il funzionamento dei mercati, minori sono gli investimenti – anche quelli provenienti dall’estero, per i quali il ‘pantano percepito’ della giustizia italiana è uno dei principali freni.
Ad essere svantaggiate sono soprattutto le imprese di minori dimensioni, particolarmente esposte agli effetti negativi di una giustizia inefficiente. La lunghezza dei procedimenti civili aumenta infatti il costo richiesto per far rispettare i contratti e per difendere i diritti di proprietà. Studi di Banca d’Italia indicano che se la lunghezza dei processi civili si riducesse della metà, le imprese più piccole riuscirebbero ad aumentare il numero medio di occupati di circa il 10%. Le imprese più piccole sono penalizzate anche attraverso il canale creditizio: le banche sono infatti più propense a erogare finanziamenti se la giustizia è in grado di garantire una maggiore protezione del proprio credito. Nelle Province dove il sistema giudiziario è più efficiente vi è minore razionamento del credito e l’accesso delle piccole imprese ai finanziamenti bancari è più agevole.
Accelerare la riforma della giustizia civile è dunque centrale per le prospettive di crescita dell’Italia. Le simulazioni condotte attraverso l’utilizzo dei modelli econometrici Cer suggeriscono che se i tempi della nostra giustizia fossero pari a quelli della Germania, si registrerebbe non solo un aumento aggiuntivo di quasi 2,5 punti del Pil e di 1.000 euro di reddito pro-capite, ma anche la riduzione del tasso di disoccupazione di circa mezzo punto, per un recupero di circa 130mila occupati. Crescerebbe anche l’erogazione di finanziamenti alle PMI da parte del sistema bancario, per circa 32 miliardi di euro di prestiti in più all’anno.
Effetti economici di una giustizia più efficiente (modello e
La giustizia italiana è rallentata da un “tasso di litigiosità” molto alto: in un anno si aprono 4 procedimenti ogni 100 abitanti, il 35% in più rispetto alla media degli altri paesi dell’OCSE. Il tasso di litigiosità, a sua volta, è legato ad una normativa di peggiore qualità, ad una maggiore corruzione e a una minore certezza del diritto, con un alto grado di imprevedibilità delle sentenze. L’eccesso di domanda di servizi giudiziari si scontra con un’organizzazione degli uffici e una distribuzione dei carichi di lavoro inefficiente. Un problema dovuto a un basso livello di specializzazione delle funzioni, alla lenta informatizzazione dei processi e ad una strutturazione territoriale ineguale. Tutti punti oggetto di riforme che stanno producendo importanti risultati. Uno, ad esempio, è quello dei fallimenti: la nuova disciplina rappresenta un progresso soprattutto per i piccoli imprenditori, in particolare per tutti coloro per cui il fallimento è stato un marchio di infamia che ha impedito il proseguimento dell’attività. Tuttavia il passo complessivo del cambiamento è ancora lento, ed anche i nuovi strumenti pensati per snellire le procedure si stanno ingolfando.
È il caso del Tribunale delle imprese, innovazione particolarmente utile, ma che dà preoccupanti segni di saturazione. Nel 2016, il numero dei procedimenti in corso (ossia non ancora definiti) era aumentato del 20% rispetto al 2015 e del 72% rispetto al 2013. Il tempo medio per arrivare a una sentenza è salito nel 2016 a 970 giorni, contro gli 870 giorni del 2015 e i 776 giorni del 2014. La nuova istituzione stenta ad assorbire l’aumento della domanda, con tempi di risoluzione che si sono avvicinati a quelli ordinari.
Al rallentamento del Tribunale delle imprese si aggiunge, oltretutto, un progressivo peggioramento del quadro dei contenziosi lavorativi. Oggi un contenzioso per licenziamento si chiude nei grandi tribunali in media entro due/tre anni per un giudizio di primo grado. Nei piccoli tribunali, invece, i tempi si allungano – anche 4 anni in primo grado – con il risultato di accumulare sempre più arretrati. I datori si trovano a pagare anni di retribuzioni, cifre cospicue, che rischiano di mettere in crisi l’attività di impresa: come abbiamo visto, la spesa complessiva delle imprese per le cause di lavoro si aggira sui 3 miliardi di euro l’anno. Il quadro della giustizia del lavoro è ulteriormente complicato dal fenomeno della contrattazione pirata, che ha portato ad una crescente diffusione di illegalità e abusi di diritto.
Le proposte. Per contribuire a rendere più efficiente il rapporto tra giustizia ed imprese, Confesercenti propone dunque un doppio intervento, mirato a ridurre gli abusi di diritto creati dal dumping contrattuale e a snellire i procedimenti per i contenziosi lavorativi. Contro i contratti pirata, è necessario assegnare per via legislativa al CNEL il potere di certificare la rappresentatività delle organizzazioni sindacali e datoriali, mentre l’Ispettorato Nazionale del Lavoro deve avere il potere di sanzionare i datori di lavoro che non applicano i CCNL sottoscritti dalle organizzazioni più rappresentative. Per velocizzare i contenziosi lavorativi, invece è opportuno prevedere una specializzazione ulteriore del giudice del lavoro, con una divisione netta tra giudici che si occupano di contenzioso giuslavoristico e quelli invece dedicati al contenzioso previdenziale. Una misura che eviterebbe ai giudici di lavoro che devono gestire il contenzioso di essere bloccati da numerose e difficili cause previdenziali. E che potrebbe essere rafforzata dall’introduzione dell‘ arbitrato obbligatorio per il contenzioso previdenziale presso l’Ispettorato del lavoro o Commissioni speciali delle Università.
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