Il Presidente della Repubblica: ignobili gli oltraggi al busto di Falcone e alla stele di Livatino
Sono trascorsi 25 anni da quando un’autobomba piazzata in via D’Amelio uccise il giudice Paolo Borsellino, e gli agenti di scorta. Una strage avvenuta appena 57 giorni dopo quella di Capaci, in cui morì il giudice Giovanni Falcone, insieme alla moglie e tre agenti di scorta.
E’ una domenica d’estate: Paolo Borsellino, 51 anni, da 28 anni in magistratura, procuratore aggiunto nel capoluogo siciliano dopo aver diretto la Procura di Marsala, pranza a Villagrazia con la moglie Agnese e i figli Manfredi e Lucia. Poi si reca con la sua scorta in via D’Amelio, dove vivono la madre e la sorella. Una Fiat 126 parcheggiata nei pressi dell’abitazione della madre con circa 100 chili di tritolo a bordo, esplode al passaggio del giudice, uccidendo anche i cinque agenti. Sono le 16.58. La deflagrazione, nel cuore di Palermo, viene avvertita in gran parte della città. L’autobomba uccide Emanuela Loi, 24 anni, la prima donna poliziotto entrata a far parte di una squadra di agenti addetta alle scorte; Agostino Catalano, 42 anni; Vincenzo Li Muli, 22 anni; Walter Eddie Cosina, 31 anni e Claudio Traina, 27 anni. Unico superstite l’agente Antonino Vullo.
Una strage i cui contorni, al di là della matrice mafiosa, restano tutt’ora avvolti dal mistero.
Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha ricordato Paolo Borsellino; presiedendo il plenum del Csm ha affermato: “Come ho già detto in occasione della seduta dedicata a Giovanni Falcone, rievocare le loro figure non può essere un rituale fine a sé stesso. Questo ci viene ricordato ancora una volta dall’ignobile oltraggio recato al busto di Falcone, nella scuola di Palermo a lui dedicata. E, ancora ieri, da quello contro la stele che ricorda Rosario Livatino”.
Borsellino, ha aggiunto Mattarella, “non si è mai arreso, non ha mai rinunciato a sviluppare il suo progetto di legalità, anche quando era diventato ormai consapevole di essere vittima predestinata della mafia. Ha combattuto la mafia con la determinazione di chi sa che la mafia non è un male ineluttabile, ma un fenomeno criminale che può essere sconfitto. Sapeva che è necessario diffondere particolarmente tra i giovani la cultura della legalità”.
Il Presidente della Repubblica ha sottolineato: “La sua tragica morte deve ancora avere una definitiva parola di giustizia. Troppe sonostate le incertezze e gli errori che hanno accompagnato il cammino nella ricerca della verità sulla strage di via D’Amelio e ancora tanti sono gli interrogativi sul percorso perassicurare la giusta condanna ai responsabili di quel delitto efferato”.
“Ricordiamo Paolo Borsellino – ha concluso il Presidente Mattarella – non perché è stato assassinato, ma perché ha vissuto in maniera autentica il suo servizio allo Stato. A lui il Paese è riconoscente, per la testimonianza che ha reso e per il sacrificio cui è stato sottoposto”.
Numerosi gli eventi in programma per ricordare il sacrificio del magistrato e della sua scorta.
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