L’accusa dell’Antitrust: “pagato solo un quarto delle tasse”. La replica: non è vero, per noi nessun vantaggio
Margrethe Vestager, Commissario europeo alla Concorrenza
La web tax europea ancora non c’è, ma questo non vuol dire che la Commissione rinunci ad esaminare – e sanzionare – i comportamenti fiscali dei giganti del web ritenuti illeciti. Stavolta sotto il mirino è Amazon, accusata dall’autorità Antitrust europea di aver usufruito, tra il 2003 ed oggi, di circa 250 milioni di euro di vantaggi illegali.
La lettera dell’Antitrust. “Il Lussemburgo – scrive la commissaria alla concorrenza Margrethe Vestager al governo del Granducato – ha dato ad Amazon vantaggi fiscali non dovuti per 250 milioni di euro”, un comportamento “illegale perché le ha consentito di pagare molte meno tasse di altre aziende”. In pratica “tre quarti dei suoi profitti non sono stati tassati”, e adesso si chiede di recuperare gli aiuti erogati. “Il Pase ha infatti consentito ad Amazon di pagare “quattro volte in meno di tasse rispetto ad altre società” residenti nel Paese, ha detto Vestager, spiegando come si tratti di una “condotta illegale” perché “non si possono dare alle multinazionali benefici fiscali che altri non hanno”.
L’indagine. In seguito ad un’indagine lanciata ad ottobre 2014, Bruxelles ha concluso che un ‘tax ruling’ siglato dal Lussemburgo nel 2003, e prolungato nel 2011, ha ridotto le tasse pagate da Amazon “senza alcuna giustificazione valida”. L’accordo ha consentito all’azienda di spostare la vasta maggioranza dei suoi profitti da un gruppo soggetto alla tassazione lussemburghese (Amazon EU) ad una società non soggetta ad alcuna tassazione (Amazon Europe Holding Technologies). In particolare, il tax ruling ha appoggiato il pagamento di una royalty da Amazon EU ad Amazon Europe Holding Technologies, che ha significativamente ridotto i profitti tassabili. Secondo la Commissione, il pagamento della royalty, sostenuto dal tax ruling, non rifletteva “la realtà economica del mercato”.
La replica di Amazon. Le accuse della Ue, però, sono fortemente contestate da Amazon, che assicura di non aver ricevuto alcun trattamento di favore. “Riteniamo che Amazon non abbia ricevuto alcun trattamento di favore dal Lussemburgo e che abbiamo pagato le tasse nel pieno rispetto delle normative statali e internazionali”, ha affermato la società di Jeff Bezos con un comunicato.
Web Tax e concorrenza sleale, un problema da risolvere. La vicenda riporta alla ribalta la questione della web e della tassazione dei servizi web multinazionali, che non avendo organizzazioni stabili possono scegliere di pagare le imposte nei paesi che offrono condizioni più favorevoli, e della concorrenza sleale nei confronti delle imprese off-line generata da questo fenomeno. Che a sua volta sta dando il via, per quanto riguarda il capitolo dell’evasione, ci sono nuove forme di ‘grey economy’, ad esempio, che sfuggono in buona parte al regime di tassazione comprese anche quelle dell’economia digitale. Inoltre, sul fronte dell’aspra concorrenza tra le diverse tipologie distributive alcuni settori, in particolare, spingono ad un forte livellamento di prezzi e prestazioni verso il basso con effetti distorsivi sull’inflazione e sui consumi finali. Per ampie fasce imprenditoriali della distribuzione le prospettive non appaiono buone ed il sentiero della crescita appare ancora tutto in salita. Il caso Amazon, purtroppo, è solo l’ultimo di una lunga serie: accuse simili a quelle lanciate dall’antitrust europeo al gigante dell’e-commerce erano state mosse, in passato, anche a Google e ad Apple. Un problema la cui risoluzione sembra passare per la webtax, una nuova imposta, di livello europeo, che dovrebbe risolvere la questione dell’organizzazione stabile e tassare efficacemente i proventi dei servizi erogati nei vari paesi.
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